mercoledì 4 aprile 2012

La Pop Art Americana Il genio di Andy Warhol



La Pop art emerge in Inghilterra verso la metà degli anni '50 ma si realizza pienamente
a New York nei primi anni '60. Tutto deriva da una frattura antropologica di fondamentale importanza: l’avvento della società dei consumi e della civiltà di massa.
Il termine Pop art, che deriva letteralmente da "arte popolare", fu usato per la prima
volta dal critico inglese Lawrence Alloway nel 1958 nella rivista “Architectural Digest” per
descrivere quei dipinti che celebravano il consumismo post-bellico e che rappresentavano una nuova realtà, una realtà in cui le regole del commercio di massa e della pubblicità hanno progressivamente modificato sogni, aspettative e speranze attraverso la grafica e i nuovi media.

Dall’incontro tra arte e cultura dei mass-media nasce quindi la pop art.
I maggiori rappresentanti di questa tendenza sono tutti artisti americani: Andy Warhol, Claes Oldenburg, Tom Wesselmann, James Rosenquist, Roy Lichtenstein ed altri.
Infatti questo stile appare decisamente il frutto della società e della cultura americana. Cultura largamente dominata dall’immagine, ma immagine che proveniva dal cinema, dalla televisione, dalla pubblicità, dai rotocalchi, dal paesaggio urbano largamente dominato dai grandi cartelloni pubblicitari.
La pop art ricicla tutto ciò in una pittura che rifà in maniera fredda ed impersonale le
immagini proposte dai mass-media. Si va dalle bandiere americane di Jasper Johns alle
bottiglie di Coca Cola di Warhol, dai fumetti di Lichtenstein alle locandine cinematografiche
di Rosenquist. La pop art documenta quindi in maniera precisa la cultura popolare
americana, trasformando in icone le immagini più note o simboliche tra quelle proposte dai massmedia.

Questa corrente artistica del tutto innovativa si impadronisce dello spazio circostante, sostituendo l'immagine dell'oggetto con l'oggetto stesso ed accentuando la dimensione grottesca della società dove la prepotenza martellante dei mass media annulla ogni giudizio autonomo.
L’apparente indifferenza per le qualità formali dei soggetti proposti, così come il
procedimento di pescare tra oggetti quotidiani che apparivano assolutamente non estetici, ha indotto molti critici a considerare la pop art come una specie di nuovo dadaismo. Diversamente da questo, però, il movimento della Pop Art non ha nessun intento dissacratorio, ironico o provocatorio. Il grande pregio di questa nuova tendenza è invece quello di documentare i cambiamenti di valori nella nuova società del consumismo.
Cambiamenti che consistono in una preferenza per valori legati al consumo di beni materiali e alla proiezione degli ideali comuni sui valori dell’immagine, intesa in questo caso soprattutto come apparenza. Frequenti sono le immagini dei nuovi idoli o miti in cui le masse popolari tendono ad identificarsi. Miti ovviamente creati dalla pubblicità e dai mass-media che proiettano sulle masse sempre più bisogni indotti, e non primari, per trasformarli in consumatori sempre più avidi di beni materiali.


In sostanza un quadro di Warhol che ripete l’ossessiva immagine di una bottiglia di Coca
Cola ci testimonia come quell’oggetto sia oramai divenuto un referente più importante,
rispetto ad altri valori interiori o spirituali, per giungere a quella condizione esistenziale
che i mass media propagandano come vincente nella società contemporanea.

La critica alla società dei consumi, degli hamburger, delle auto, dei fumetti si trasforma presto in merce, in oggetto che si pone sul mercato (dell'arte) completamente calato nella logica mercantile. Ciononostante gli artisti che hanno fatto parte di questo movimento hanno avuto un ruolo rivoluzionario introducendo nella loro produzione l'uso di strumenti e mezzi non tradizionali della pittura, come il collage, la fotografia, la serigrafia, il cinema, il video.

Andy Warhol (1930-1987) è uno dei rappresentanti più tipici della cultura nordamericana, soprattutto per la sua voluta ignoranza di qualsiasi esperienza artistica
maturata in Europa. Rifiutata per intero la storia dell’arte, con tutta la sua stratificazione
di significati e concettualizzazioni, l’arte di Warhol si muove unicamente nelle coordinate
delle immagini prodotte dalla cultura di massa americana. La sua arte prende spunto dal
cinema, dai fumetti, dalla pubblicità, senza alcuna scelta estetica, ma come puro istante
di registrazione delle immagini più note e simboliche. E l’opera intera di Warhol appare
quasi un catalogo delle immagini-simbolo della cultura di massa americana: si va dal
volto di Marilyn Monroe alle inconfondibili bottigliette di Coca Cola, dal simbolo del
dollaro ai detersivi in scatola, e così via. Da questo discende la sua tecnica più usata: la
serigrafia: ogni opera diviene serie. In queste sue opere non vi è alcuna scelta estetica,
ma neppure alcuna intenzione polemica nei confronti della società di massa: unicamente
esse ci documentano quale è divenuto l’universo visivo in cui si muove quella che noi
definiamo la «società dell’immagine» odierna. Ogni altra considerazione è solo
consequenziale ed interpretativa, specie da parte della critica europea, che in queste
operazioni vede una presa di coscienza nei confronti del kitsch che dilaga nella nostra
società, anche se ciò, a detta dello stesso Warhol, sembra del tutto estraneo alle sue
intenzioni.
L’arte di Andy Warhol è una delle più incomprensibili mai prodotte nella cultura occidentale. La sua personale indifferenza a quanto rappresenta, senza alcun intervento interpretativo, spoglia le sue opere di qualsiasi intento comunicativo. In tal senso la difficoltà di valutare tali opere pone seri problemi, soprattutto ad un europeo.
Visto che l’immagine non ha un valore estetico, si è ricercata in essa un valore etico: “Minestra in scatola Campbell I”, 1968, rappresentando l’omogeneizzazione della società moderna che propone alimenti preconfezionati uguali per tutti, può divenire implicitamente una critica a tale società. Ma ciò non sembra nelle intenzioni di Warhol, che anzi, nella società americana, vede un valore positivo proprio per il suo grande livellamento. Il bello degli americani, come lo stesso Warhol ha espresso, è che mangiano tutti le stesse cose, dal presidente degli Stati Uniti al barbone che è seduto ad un angolo di strada. In ciò è molto evidente quella mitica "american way of life" in cui la uguaglianza è realizzata in una società che consente uguali possibilità per tutti. E in ciò appare nuovamente evidente che l’arte di Warhol, troppo americana anche nei suoi più piccoli risvolti, sembra che abbia un solo intento reale: demolire il mito dell’arte europea come espressione di una cultura "alta".





Valentina Coccu

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